E’ una avvenimento tuttora angoscioso, che potrebbe concludersi anche in maniera triste. Tutto risale al 2006, anno in cui Gioacchino (nome di fantasia) vede affisso nella bacheca dello stabilimento in cui lavora dei volantini in cui si evidenziava la riapertura dei termini per richiedere i contributi relativi a chi a lavorato in stretto contatto con l’ Amianto (prodotto molto pericoloso se le sue “polveri” vengono inalate), ritenendo che in tale casistica rientra anche lui per aver lavorato 15 anni (dal 1978 al 1992) presso lo stabilimento di Enichem di Porto Marghera.
Si reca nel più vicino Patronato sindacale, e fa la relativa richiesta, niente di più facile è solo richiesto il curriculum lavorativo (curriculum prontamente redatto dal datore di lavoro dell’ epoca) per gli anni trascorsi di cui la richiesta.
Passano un paio di anni (arriviamo al 2008), Gioacchino rimane disoccupato perché l’ azienda dove lavorava ha chiuso licenziando tutti, e giunge dopo qualche contrattempo la risposta in merito alla richiesta, l’ ente pensionistico dichiara che Gioacchino non ha diritto ai contributi previsti (come da copione nei casi di richiesta di singole, o poche persone).
Gioacchino non si arrende, anche perché i suoi colleghi di lavoro con cui ha lavorato a “fianco” in quel periodo hanno ricevuto tutti quanti i benefici pensionistici previsti, cosi si rivolge al Sindacato di categoria a cui è iscritto (CGIL), e tramite il loro Avvocato decidono di fare ricorso.
Passano ancora 4 anni, (arriviamo nel 2012), Gioacchino è ancora disoccupato (i contributi dell’ amianto sarebbero mai come ora necessari per accedere pensione), al processo per il ricorso, rintraccia due testimoni dell’ epoca, con cui ha lavorato a “fianco” negli anni in causa, e che testimoniano i fatti.
Il Giudice sentite le parti, dichiara che Gioacchino ha diritto a benefici previsti dalla legge per gli esposti all’amianto, ma “purtroppo” essendo la domanda stessa presentata dopo l’anno 2003, i benefici si riduco al solo contributo in denaro calcolato per gli anni di esposizione all’amianto, e solo quando si accede alla pensione.
Gioacchino si ritrova con un “pugno di mosche” in mano, essendo ancora disoccupato alla pensione quando ci arriva? In aggiunta, alla delusione, Gioacchino si vede costretto a pagare “giustamente” le spese dell’ avvocato, e la metà delle spese processuali ( in tutto €. 2.400,00 – parzialmente restituiti dall’INPS), troppi soldi per un disoccupato, Gioacchino è costretto a chiedere i denari ai parenti per queste spese.
Ma attenzione, perché questa faccenda potrebbe complicarsi ulteriormente per Gioacchino, in quanto se l’ ente pensionistico (che avrebbe almeno il dovere morale di fare uscire dal mondo del lavoro nella maniera più conveniente possibile i suoi assistiti), facesse ricorso alla sentenza sarei costretto a subire ancora delle spese in ugual misura alle precedenti e non saprei più come pagarle – ci confida Gioacchino.
“All’epoca quando feci la Richiesta all’ente pensionistico dei contributi dell’amianto lavoravo ancora, se avessi saputo di rimanere disoccupato non l’ avrei mai fatta, per me è stata una rovina.“
Ma chi ci guadagna in tutto questo? A conti fatti, gli unici a tranne beneficio sono: il tribunale che giustamente incassa le spese che a sostenuto, l’ avvocato di Gioacchino, che prende i soldi dallo stesso, e anche da parte dell’ ente pensionistico per le la difesa sostenuta, e l’ente pensionistico, che a Gioacchino non da un bel niente (ma ha usato i soldi dei contribuenti per pagare le spese).
A Gioacchino non rimane che andare in pensione per potere usufruire di quel piccolo contributo riconosciuto, ma nella crisi in cui ci troviamo sarà un miracolo trovare un’ occupazione per un over 55, le speranze sono ridotte a lumicino.
Quello che più rammarica Gioacchino, e lo strano caso di questi contributi, non aveva mai saputo della legge del 2003, evidentemente i termini per fare richiesta dei contributi dell’ amianto sono stati sempre aperti, ma chi aveva il dovere di avvertire, si è astenuto a farne la dovuta pubblicità.
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